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Il Gattopardo

La vicenda è ambientata in Sicilia, in particolare a Palermo e nelle ville di S. Lorenzo e di Donnafugata, dal maggio 1860 al maggio 1910, con una separazione di vent’anni tra gli ultimi due capitoli. Il romanzo inizia con la recita del rosario in casa Salina, la villa di S. Lorenzo, dove il principe don Fabrizio viveva con la moglie Maria Stella e i suoi sette figli. Quella sera, prima di cena, passeggiando nell’ampio giardino, il principe si perse in veri pensieri che lo tormentavano, come il ritrovamento, avvenuto qualche mese prima, del cadavere di un soldato oppure il recente incontro con il re. Dopo cena, preso da un impeto di passione, don Fabrizio si diresse a Palermo dalla sua amante Mariannina. Il giorno seguente don Fabrizio incontrò Tancredi Falconeri, suo nipote e pupillo, il quale lo mise al corrente della sua intenzione di unirsi ai garibaldini e combattere con loro. Nonostante l’iniziale disapprovazione del Principe, quest’ultimo poi si lasciò sopraffare dal suo affetto per il nipote e lo lasciò andare. Dopo aver parlato coll’amministratore e aver discusso con padre Pirrone dell’avventura immorale della sera precedente e dei nuovi cambiamenti politici, il Principe pranzò con la famiglia. Nel pomeriggio fu avvisato dello sbarco dei garibaldini a Palermo, tuttavia non si allontanò dalla villa. Solo nell’agosto successivo si trasferì con tutta la famiglia nella villa di Donnafugata, la residenza estiva. Nel frattempo Tancredi e Concetta, una delle figlie di don Fabrizio, avevano cominciato a frequentarsi e tutto lasciava presupporre un fidanzamento. Tuttavia, arrivati a Donnafugata, la famiglia Salina fece conoscenza della bella figlia del sindaco don Calogero Sedara, Angelica, di cui subito Tancredi s’innamorò. Concetta allora, insospettitasi, cominciò a trattarlo aspramente, provando un certo risentimento nei suoi confronti. Qualche mese dopo a Donnafugata ci fu il Plebiscito per votare l’annessione della Sicilia al Regno di Sardegna e, sebbene in seguito si dimostrò che era stato truccato, fu unanime il voto affermativo. Al Principe piaceva passare le giornate a caccia con un suo servo di fiducia, don Ciccio Tumeo, il quale un giorno prese a raccontargli del sindaco e della sua famiglia, in particolare della moglie, che in realtà non aveva mai visto: venne così a sapere delle origini molto umili e anche poco decorose della madre di Angelica, ma pur sapendo questo, diede il suo consenso quando Tancredi gli scrisse che voleva sposare la figlia. Però, dato che Tancredi era via a causa del suo servizio militare, il Principe Fabrizio dovette chiedere in sua vece la mano di Angelica al padre. Così il fidanzamento fu fatto. Il mese successivo, Tancredi tornò a Donnafugata in compagnia di un suo caro amico, il conte Carlo Cavriaghi, il quale aveva spesso mostrato attenzioni per Concetta, la quale però, ancora innamorata del cugino, non corrispondeva. Nell’enorme palazzo di Donnafugata, Tancredi e Angelica si divertivano spesso a rincorrersi tra le varie stanze vuote, tuttavia preservando onesto sempre il loro fidanzamento. Qualche giorno dopo, una sera arrivò a Donnafugata un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley, che era stato incaricato di informare il Principe di Salina che il Re gli avrebbe concesso la carica di senatore del Regno, qualora la accettasse. Tuttavia don Fabrizio, ormai legato al vecchio regime e poco desideroso di immischiarsi in politica, rifiutò garbatamente e consigliò invece il nome di Calogero Sedara per la carica. Nel frattempo padre Pirrone andò a trovare i suoi familiari nel suo paesino natale. Qui riuscì a risolvere i problemi della nipote, che era rimasta incinta con un lontano cugino di famiglia, con cui però i genitori non avevano buoni rapporti, facendo concludere tutto con il loro matrimonio. L’anno seguente, nel novembre del 1862, la famiglia Salina fu invitata al ballo dei Ponteleone, vecchi amici di famiglia, dove Angelica sarebbe stata introdotta in società. Tra lo strepito generale di uomini, donne, danze e conversazioni, don Fabrizio si sentì per un attimo sperduto e gli parve di sentirsi mancare. Si ritirò allora nella biblioteca principale, dove si mise ad osservare attentamente un quadro che ritraeva un anziano sul letto di morte. Si perdette così in varie considerazioni riguardo a sé e alla propria condizione, finché non fu interrotto Tancredi e Angelica, la quale gli chiese se potesse ballare un valzer con lei. Il loro ballo attirò l’ammirazione di tutti gli astanti. Dopo di che, la serata passò tranquilla tra altri balli e discussioni. Così passarono gli anni, fin quando nel luglio del 1883, don Fabrizio Corbera, Principe di Salina non si spense in una camera d’albergo a Palermo, di ritorno da un viaggio a Napoli. Nel maggio 1910, le tre figlie Concetta, Carolina e Caterina furono costrette a far analizzare le reliquie della propria cappella di famiglia e eliminare quelle false. Infine ritiratasi nella sua stanza, Concetta si fermò a contemplare per un momento il passato, provando prima nostalgia, poi rassegnazione per il modo in cui la sua vita si era svolta. Commento In questo libro ciò che spicca maggiormente, e caratterizza inoltre il romanzo, è quell’alone di decadenza che l’autore ha voluto conferirgli, quasi a simboleggiare la fine irrimediabile di un’epoca, e soprattutto attraverso essa delinea l’essenza della classe nobiliare di fine Ottocento. Sebbene sia scritto un secolo dopo gli anni narrati nel romanzo, l’autore descrive ugualmente con grande realismo la vicenda e l’ambientazione. Anche il modo di suddividere la storia in capitoli che corrispondono a determinati periodi di tempo, non aiuta solo ad avere un senso complessivo dello svolgimento della vicenda, ma anche a focalizzarsi sui protagonisti in ogni momento della loro vita. Per tutto il romanzo si segue la vita del principe Fabrizio, eppure il libro non termina con la sua morte, ma con un ultimo sguardo sulla sua “discendenza”, vent’anni dopo la sua morte, quasi a sottolineare maggiormente la netta differenza tra la generazione del Principe e quella dei figli. Di fronte al finale del romanzo si può rimanere un po’ perplessi, anche se in fin dei conti è in un certo senso rivelatore. Il romanzo infatti si conclude con un ultimo dettaglio riguardante la vita di Concetta, rimasta ormai (ma forse lo è sempre stata) la vera e unica erede dei Salina: ella ha saputo mantenere alto e degno il nome della sua famiglia, come suo padre prima di lei. Nelle ultime pagine veniamo a conoscenza di un particolare sottile ma molto significativo per i personaggi coinvolti: Tancredi aveva amato veramente Concetta, e, chissà, se lei non si fosse chiusa in quella gelosia orgogliosa, forse Tancredi avrebbe lasciato la bellezza di Angelica, per la tenerezza e la purezza di Concetta, a cui lui era tanto affezionato. Il libro termina, dopo tale elucidazione, con una finale riconciliazione di Concetta con il proprio passato, decisa ormai di accettare rassegnata il modo in cui si sono svolti i fatti, lasciando dunque al finale un retrogusto vagamente amaro, che sottolinea maggiormente quell’atmosfera decadente che ha percorso tutto il romanzo. Per quanto riguarda i personaggi, indubbiamente il protagonista si rivela essere don Fabrizio, nonostante anche Tancredi e Angelica abbiano un certo rilievo nel corso della narrazione. In questo caso, l’unico vero e proprio antagonista può essere considerata la Storia che si sussegue e va avanti comunque, travolgendo l’umanità con avvenimenti politici e cambiamenti sociali. È quest’ondata di novità (l’arrivo dei Garibaldini, l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia) che mette allo sbaraglio don Fabrizio, il quale comincia allora a riflettere sulla propria esistenza e sull’effetto che la Storia sta avendo su di essa, portandolo spesso a dei momenti di depressione: guardandosi intorno nota che la semplice successione dei fatti nel suo mondo nobiliare faccia capire come di fatto quel mondo sia abbandonato a se stesso, destinato a concludersi grazie semplicemente alla forza d’inerzia della Storia che va avanti da sola. Sono tutti personaggi a sé stanti, tutto ciò che fanno nasce dalle proprie intenzioni o perché spinti dalle varie situazioni che la Storia (a volte intesa quasi come Fato) pone loro davanti, ed ognuno agisce di conseguenza. Eppure scorrendo tutto il romanzo si fa quasi fatica a trovare un personaggio veramente positivo: anche il principe Fabrizio ha i suoi lati negativi, e pure la coppia Tancredi-Angelica, in cui si spera di trovare il vero amore, alla fine ci si rende conto che non sono sinceri l’uno con l’altra. Lo stile è lineare e scorrevole, anche se a volte si ha l’impressione che venga appesantito dall’autore, caricando ancora una volta quel senso di decadenza del romanzo. Il narratore è esterno, ed essendo a conoscenza degli avvenimenti di tutti i personaggi, spesso dà al lettore qualche anticipazione, anche se implicita, del modo in cui si sarebbero svolti i fatti. Nel corso del romanzo si trovano molti riferimenti all’Orlando furioso di Ariosto: i nomi dei due giovani innamorati, Tancredi e Angelica, l’entrata “abbagliante” di Angelica per la prima volta in casa Salina, il gioco amoroso tra i due giovani attraverso il labirinto di corridoi e stanze di un’ala abbandonata del palazzo, sono tutti richiami al mondo magico, ma pure spesso ingannevole, dell’Ariosto. Rispetto al grande film omonimo di Luchino Visconti del 1963, si possono riscontrare alcune differenze riguardo ai tempi dei fatti che non corrispondono con quelli del libro, date soprattutto dai limiti effettivi della durata di un film, oppure la scelta di terminare il film con la scena del ballo che non corrisponde alla fine del libro; tuttavia il regista ha saputo perfettamente ridare alla pellicola tutto ciò che era caratteristico del romanzo, e tra la scelta di un ottimo cast, dell’ambientazione e dei costumi adatti, l’essenza della vicenda è stata fatta sapientemente rivivere.

Maria Pirvu, III BO, a.s. 2015-2016

Mali Minori

Mali Minori, di SIMONE LENZI (Bari, Laterza 2014) è il libro che ho preferito fra tutti i finalisti del Premio Settembrini 2014. Attraverso brevi ma efficaci racconti, l’infanzia non viene vista più solo come un momento idilliaco nel quale tutto è felice, bensì come un momento che è alla base del successivo sviluppo della vita adulta e che condiziona quindi, a livello inconscio, molte delle scelte più importanti della nostra vita. Ogni piccola sconfitta o difficoltà viene vista come una tragedia, ma anche come un elemento che fa cambiare il modo di affrontare la vita futura, la vita da adulti. I Mali Minori sono piccoli malintesi come quelli di Carlotta Cini che si vedrà venir meno la vittoria per uno sbaglio di pronuncia, e che la porterà ad intraprendere la carriera di traduttrice, per esprimere esattamente ciò che si voleva dire nei film; oppure le disillusioni natalizie quando non si riceve ciò che si era desiderato; il senso di inadeguatezza di fronte alle aspettative degli adulti; il senso di ribellione per modi di vivere imposti dai genitori, che porteranno ad avere stili di vita completamente diversi dalla famiglia. Vengono chiamati quindi mali minori, ma non per questo sono meno importanti, anzi rimangono e permangono a condizionarci nel più profondo del nostro cuore, della nostra anima. Rimangono lì nascosti e, appena possono, riaffiorano come un tarlo fastidioso che non riusciamo a scacciare.

Giulia Baldissera, III B, a.s. 2014-2015

La vita non è in ordine alfabetico

La vita non è in ordine alfabetico , di Andrea Bajani (Torino, Einaudi 2014), è il libro che ho preferito fra tutti i finalisti del Premio Settembrini 2014. È una raccolta di storie brevi, rigorosamente in ordine alfabetico, che condensano una storia in una parola. Ogni racconto seppur corto è ricco di sentimenti e sensibilità e descrive scene di vita comune, in cui qualsiasi lettore può riconoscersi. È come se l’autore riuscisse a leggere nell’animo di tutti e scovare i sogni più reconditi, le paure vissute da bambini o le angosce che ci affliggono nella vita. Il libro apre con una sorta di prefazione, quasi a giustificare la struttura dell’opera con quel suo dipanarsi tra le lettere dell’alfabeto. Anch’essa è un racconto, che ci insegna come accanto al sentimento conviva la ragione, come i nostri pensieri riportati su carta non siano nient’altro che un susseguirsi di lettere, di segni convenzionali capaci, tuttavia, di avere un’anima e di raccontare il nostro pathos con i loro freddi segmenti ascendenti e discendenti appoggiati su un foglio. Mi piace ascoltare come l’autore descrive i pensieri assurdi che affollano la mente di un futuro papà mentre assiste la moglie in travaglio in sala parto. L’incoerenza della mente umana è raccontata con semplicità ed innocenza, quasi a giustificare l’uomo, che invece di immedesimarsi nelle urla delle spinte della moglie, pensa al cane di sua zia acciambellato sotto la sedia del ristorante. La mente dell’uomo è un ingranaggio misterioso senza nessuna regola o formula, un motore incontrollabile, finché il pianto che si rompe tra le gambe della donna non desta il protagonista e gli dice che sua figlia è nata. La lettera “C” cela la confessione di una donna seduta accanto ad un uomo su un sedile del treno. Il bisogno della signora di parlare con qualcuno per raccontare i dolori della sua vita racchiude una delle immagini più poetiche del libro. Da una parte c’è un senso d’impotenza e smarrimento dell’ascoltatore, che non può far altro che offrire la sua attenzione, dall’altra un senso di liberazione e di rassegnazione nella donna, che scende dal treno dimenticando il suo cuore ancora pulsante sul sedile. Questo cuore inferocito e molle non serve più alla signora ma lui, tuttavia, continua a pulsare all’impazzata e sfugge dalle mani dello sventurato ascoltatore come un animale atterrito, che tenta di fuggire alla cattura. Molti racconti sono ricordi d’infanzia, scene di sofferenze adolescenziali o tragedie familiari, tradimenti di coppia. Ce n’è uno in particolare, che ricordo con piacere e che comincia con la lettera “M”. È la storia di un adulto, che con sollievo non si sveglia più di soprassalto come da studente la mattina quando aveva i compiti di francese svolti a metà o quando si trovava a ripetere i verbi alla fermata. La sua vita è ora un susseguirsi di mattine piene d’aria, senza nessun senso d’inadeguatezza, che provava invece a scuola. Ora egli accompagna a scuola suo figlio e in macchina gli spiega che soltanto l’età adulta spazzerà via questo senso di malessere che prova adesso e che è lo stesso che ha provato lui quand’era studente. Eppure, sebbene adulto, basta un innocuo corso di tedesco, fatto per diletto, per girare la clessidra e far ricominciare tutto di nuovo. Ed ecco ancora quel senso di nausea la mattina per quei compiti non finiti, verbi non coniugati, sostantivi non declinati e quella speranza di non essere chiamato dalla professoressa che si aggira tra i banchi. Leggendo questo racconto ho ripensato ai corsi e ricorsi storici, all’eterno ritorno dell’uguale, alla clessidra capovolta che si svuota e si riempie, al pendolo che danza questo eterno movimento e ho pensato alla complessità della vita dell’uomo, ai suoi intrecci di passioni e sentimenti così intensi da vivere, così veloci da descrivere.

Silvia Luka, III B, a.s. 2014-2015

L'isola di Arturo

Arturo Gerace è un bambino costretto a crescere e a trascorrere l'infanzia da solo sull'isola di Procida, con l'unica compagnia del cane Immacolatella. La madre di Arturo è morta di parto, mentre il padre, Wilhelm, trascorre gran parte del suo tempo lontano dall'isola. Arturo passa le sue giornate a sognare avventure in luoghi remoti e a fantasticare sulle gloriose imprese che attribuisce a suo padre, aspettando il giorno in cui, come promesso, egli lo porterà in viaggio con sé. Per il ragazzo, questi rappresenta la perfezione ed egli si sforza il più possibile di impressionarlo e di avere la sua ammirazione. La vita di Arturo, però, cambia quando il padre gli annuncia che sposerà una ragazza napoletana, Nunziata, che si trasferirà sull'isola di Procida. Per il ragazzo, la sposa del padre diventa una sorta di rivale nella conquista dell'attenzione e dell'affetto di Wilhelm ed inizia ad averla in odio e a trattarla con disprezzo, nonostante Nunziata si sforzi di essergli amica. Pur essendosi sposato, Wilhelm non smette di intraprendere i suoi viaggi, ed Arturo si ritrova solo con la matrigna, con cui cerca di trascorrere meno tempo possibile.
Presto Nunziata rimane incinta. La notte del parto, Arturo viene svegliato dalle sue urla e si preoccupa che anche la matrigna possa morire, come sua madre. Dopo la nascita del piccolo Carmine-Arturo, Nunziata si dedica completamente al neonato, scatenando la gelosia di Arturo. Egli, infatti, è invidioso del fratellastro che ha tutte le attenzioni di una madre, cosa che lui non ha avuto e soprattutto rimpiange il fatto di non aver mai ricevuto un bacio. Arturo, allora, per attirare su di sé le attenzioni della matrigna, finge un suicidio, grazie a cui riesce a farsi accudire da lei per una settimana, durante la quale matura in lui un forte affetto per la ragazza, tanto che, alla sua guarigione, la bacia. Nunziata, però, lo respinge, divisa tra l'affetto per il figliastro e il suo dovere di sposa e madre. Arturo, allora, per farla ingelosire, intreccia una relazione fisica con Assunta, grazie alla quale capisce la forza del suo sentimento per Nunziata. La relazione, però, ha fine quando Arturo scopre che Assunta riceve altri uomini nella sua casa.
Nel frattempo il padre torna più spesso sull'isola, ma trascorre le sue giornate in casa, evitando la compagnia di chiunque. Arturo scopre che il padre tanta disperatamente di parlare con un carcerato sull'isola, per il quale il ragazzo prova subito odio, che si acuisce quando incontra quest'ultimo nella sua casa. Egli, Tonino Stella, rivela ad Arturo cose sulla vita d Wilhelm che distruggono tutte le sue certezze e illusioni sulla figura del padre. Gli rivela, inoltre, che Wilhelm lo porterà in viaggio con sé dietro compenso. Quando Wilhelm li raggiunge, Arturo litiga con lui e lo accusa di essere un traditore, poiché ha infranto tutte le promesse che gli aveva fatto da bambino, e rifiuta di riconciliarsi il mattino seguente. Dopo la partenza del padre, Arturo confessa il suo amore a Nunziata che lo respinge nuovamente. Il ragazzo allora decide di partire e, incontrato casualmente dopo anno il suo "balio" Silvestro, parte da Procida insieme a lui, lasciandola per sempre.


ANALISI DI UN PERSONAGGIO

Arturo, il protagonista del libro, è un ragazzino moro e grazioso, la cui infanzia sull'isola di Procida è caratterizzata dalla solitudine. Nel corso della vicenda, due personaggi sono fondamentali nella vita di Arturo: il padre, Wilhelm, e la matrigna, Nunziata.
Arturo, fin da piccolo, vede nel padre, spesso in viaggio, una figura che incarna tutte le virtù, le qualità e la perfezione, tanto che persino gli amici del padre meritano ammirazione. In assenza del padre, egli sogna quali imprese eroiche questi stia compiendo e attende il momento in cui potrà salpare assieme a lui. Quando il padre, invece, è presente, Arturo si sforza di dimostrargli di essere alla sua altezza, mostrandogli le sue capacità. Il loro rapporto subisce una svolta con l'arrivo di Nunziata sull'isola. Il ragazzo, infatti, porta una sorta di gelosia nei confronti della matrigna in quanto vede in lei una rivale con cui contendere le attenzioni del padre. Nonostante il matrimonio, i viaggi di Wilhelm non cessano e quando poi si fanno meno frequenti, l'ammirazione di Arturo per lui si trasforma in pietà. Wilhelm, infatti, non solo non dedica più tempo al figlio, ma cerca disperatamente l'attenzione di un carcerato sull'isola. Quando Arturo, poi, incontra l'uomo di persona, la pietà si trasforma in odio e delusione. Si sente, infatti, tradito nel profondo dal padre, che ha infranto i suoi sogni e le sue promesse, e il loro rapporto si rompe del tutto. Mentre il sentimento per il padre si trasforma da positivo in negativo, nei confronti di Nunziata avviene l'opposto. Inizialmente, infatti, Arturo prova grande disprezzo per la matrigna ed evita persino di pronunciare il nome. Egli, inoltre, cerca anche di farsi temere da lui, come lei teme il marito, nel tentativo di assomigliare al padre. La gentilezza e le attenzioni di Nunziata vengono meno alla nascita del piccolo Carmine. Anche in questo caso, Arturo prova una profonda gelosia e comprende l'importanza dell'affetto di una madre e piange la sua sfortuna. Il ragazzo inizia a provare un forte affetto per Nunziata e, nonostante lei lo respinga dopo il suo tentativo di baciarla, si rende conto di amare proprio quella donna che prima tanto disprezzava. Possiamo notare che sia nei confronti del padre che della matrigna, la gelosia di Arturo provoca un mutamento nei suoi sentimenti e nelle sue convinzioni. Infatti Arturo prima ammira il padre, poi ne è geloso ed infine lo disprezza, mentre la cosa opposta accade per Nunziata: prima c'è il disprezzo, poi la gelosia e alla fine l'amore.
Arturo matura grazie ad entrambi i personaggi in quanto sia il "tradimento" del padre, che l'amore respinto di Nunziata lo fanno diventare un uomo, libero spiritualmente, che è in grado di abbandonare tutto ciò che conosce e il luogo dove ha sempre vissuto. L'unico legame con la vita passata è costituito da Silvestro. Questi fonde in sé sia la figura del padre, in quanto è lui che realizza il sogno di Arturo di partire, che quella della madre, dal momento che è stato proprio Silvestro ad accudire il ragazzo.

Lidia Fernandes Pereira, classe III BO, a.s. 2014-2015

A voce alta - The Reader

BERNHARD SCHLINK, A voce alta - The Reader, Milano, Garzanti 2009, pp.176

La vicenda trattata nel romanzo è ambientata in Germania ed è narrata da Michael Berg. Il racconto inizia durante la sua adolescenza, nel secondo dopoguerra. Egli è un ragazzo molto timido, si ammala spesso e, anche per questo, ha difficoltà ad intrecciare relazioni con gli altri ragazzi. Un giorno, mentre passeggia per la città, il cui nome non viene mai indicato, si sente male e a soccorrerlo è Hanna, una donna di trent'anni che lo invita a casa sua affinchè riprenda le forze. Michael ne è subito attratto, nonostante lui stesso dica di aver visto donne molto più belle. Dopo i primi imbarazzi, essi iniziano la loro storia d'amore e Michael riesce finalmente a vincere la sua timidezza: il rapporto tra i due amanti permette al ragazzo di sentirsi più maturo e di affrontare la vita più serenamente. Egli, però, non sa che Hanna nasconde un passato oscuro. I mesi passano e la loro relazione cresce. Hanna comincia a chiedere a Michael che legga per lei a voce alta i suoi testi scolastici di letteratura antica e contemporanea, tanto che i loro incontri assumono sempre di più la valenza di un vero e proprio rituale: prima di ogni rapporto fisico, Hanna pretende che Michael legga per lei. Egli conosce nuovi ragazzi e finalmente comincia a divertirsi con i suoi coetanei, allontanandosi da Hanna, la quale un giorno sparisce, lasciandolo senza un motivo apparente. I sensi di colpa e le continue riflessioni sull'accaduto accompagnano Michael: il tempo e le ragazze riescono a distrarlo senza mai, però, fargli completamente dimenticare Hanna. La sua vita va avanti ed egli inizia a frequentare la facoltà di Giurisprudenza: siamo ormai negli anni '50 e molti sono i processi aperti a causa dei crimini nazisti. Il gruppo universitario di Michael assiste ad uno di questi processi ed un giorno, incredibilmente, egli riconosce una delle imputate: è Hanna. Durante il dibattimento, Michael viene a sapere che Hanna è una ex guardiana nazista, il cui compito era quello di sorvegliare le donne ebree rinchiuse in un campo di concentramento. Hanna aveva lavorato come operaia negli stabilimenti della Siemens di Berlino e nell'autunno del 1943 era stata arruolata nelle SS: viene ora accusata, insieme ad altre cinque guardiane, della morte di un gruppo di prigioniere che, durante una marcia forzata, erano state rinchiuse in una chiesa che si era incendiata a causa di un bombardamento, bruciandole tutte vive, ad eccezione di una madre e di sua figlia che ora assistono al processo come vittime e testimoni. Durante il processo, Hanna si ostina a dire sempre la verità, anche quando questa risulta per lei dannosa. In lei affiora un continuo senso di colpa che non riesce mai a scacciare: sente la responsabilità di aver eseguito ordini atroci, pur ritenendo di non aver avuto altra scelta. Le altre imputate avvertono la sincerità e l'ingenuità di Hanna e decidono di scaricare su di lei ogni colpa, dichiarando che proprio lei ricopriva il ruolo di comandante e, pertanto, proprio lei aveva redatto il rapporto sull'incendio della chiesa, rapporto da cui era stato istruito il processo. Questa accusa è falsa: il lettore, attraverso l'intuizione di Michael, scopre finalmente il segreto di Hanna. La donna non sa né leggere né scrivere e questa rappresenta la sua più grande vergogna, al punto che ammette di aver scritto quel rapporto pur di non esser sottoposta ad una prova calligrafica. Michael capisce che Hanna è analfabeta e decide di rispettare la sua scelta di tacere, pur sapendola innocente. La donna viene condannata all'ergastolo. Sin dall'inizio della reclusione, Michael riflette molto sull'intera vicenda e comincia ad inviare ad Hanna le registrazioni delle letture che, a voce alta, negli anni lui fa per lei. Hanna, con l'aiuto dei testi trovati nella biblioteca del carcere, impara a leggere e a scrivere. Passano diciotto anni, al termine dei quali alla donna viene data la possibilità di uscire di prigione. L'unica persona che può aiutarla e a cui può essere affidata è lo stesso Michael: nessun altro le è restato accanto e lei non ha parenti né amici. Quando Michael va a prenderla per accompagnarla verso la sua nuova vita è ormai troppo tardi: Hanna si è impiccata. La direttrice del carcere consegna a Michael un biglietto e il piccolo tesoro di risparmi che Hanna ha accumulato durante gli anni della reclusione, lavorando dentro il carcere. Nel biglietto Hanna chiede a Michael di consegnare i soldi risparmiati a colei che ora è l'unica sopravvissuta a quell'incendio. Michael si reca negli Stati Uniti per esaudire le sue volontà, ma si scontra con un rifiuto. Questi risparmi vengono, allora, destinati ad istituzioni ebraiche impegnate nella lotta contro l'analfabetismo.

Il romanzo affronta più tematiche e la prima è quella della responsabilità di eseguire ordini ingiusti. Hanna sa di aver sbagliato, ma è anche consapevole di aver eseguito degli ordini a cui non poteva sottrarsi. Questa tematica sta alla base di tutti i processi condotti per i crimini nazisti e per tutti i crimini commessi contro l'umanità. Hanna sapeva di trovarsi davanti ad un bivio: doveva scegliere se fare la cosa giusta e rischiare di essere punita o obbedire ai suoi superiori. Più volte durante il processo, Hanna chiede al giudice casa avrebbe fatto lui al suo posto e il giudice non dà mai una risposta. La seconda tematica che affiora sempre più chiaramente man mano che la vicenda si sviluppa e si spiega riguarda l'orgoglio di Hanna. A causa del suo analfabetismo, la donna accetta il carcere a vita ed ogni umiliazione, pur di non svelare il suo segreto. Solo quando finalmente impara a leggere e a scrivere, Hanna capisce, ma è ormai troppo tardi: la sua vita è andata interamente sprecata, ha perso ogni significato, si è svuotata. Il lettore resta sconcertato di fronte all'incapacità di Hanna di vincere il proprio orgoglio e di esprimere la propria debolezza e vergogna, incapacità che la lascia nel silenzio e la porta a scegliere addirittura la morte. Il romanzo si svolge attraverso periodi storici diversi, ciascuno dei quali porta con sé particolari sentimenti. Si passa dall'adolescenza e dal sentimento della vita che alberga in essa alla frustrazione dell'uomo, ormai adulto, nel vedere la donna amata così ingiustamente umiliata a causa del suo stesso orgoglio. Partendo dal ricordo di un amore passato si arriva al ricordo di uno dei periodi più bui dell'umanità, un periodo storico che ha visto lo sterminio di milioni di persone e di cui, purtroppo, non ci si ricorda mai abbastanza. Il ricordo è il patrimonio più importante che a noi uomini resta dello scorrere degli eventi, anche dei più tragici, perché ci permette di imparare dagli errori e di migliorarci.

Vieri Borin, I BO, a.s. 2013-2014

La chimera

Antonia è un'orfanella che vive nella casa di carità di San Michele di Novara e viene allevata dalle suore. Lasciata sul torno in una fredda notte di gennaio quando era ancora in fasce, Antonia cresce e diventa la più bella di tutte le esposte della Pia Casa ma allo stesso tempo viene continuamente punita tanto che una volta viene addirittura rinchiusa in una piccola grotta buia assieme a Rosalina, un'esposta di poco più grande di lei costretta a sposarsi con un panettiere che abusa di lei e la obbliga a prostituirsi. All'età di dieci anni l'orfanella viene adottata da una coppia di contadini, i coniugi Nidasio, che la portano nella loro a casa a Zardino, un paesino molto povero poco distante da Novara. Una volta arrivata, Antonia conosce diversi personaggi tra i quali il parroco Don Michele che esercita tale carica pur non avendo la licenza: egli infatti aveva come unico interesse quello di arricchirsi vendendo unguenti, predizioni e altri aneddoti che incantano il popolo e coltivare bachi da seta all'interno della chiesa. Con l'arrivo della primavera la giovane nota la presenza dei risaroli, uomini di umili condizioni che lavoravano stagionalmente nelle risaie, e viene colpita dalla loro sofferenza e disperazione tanto da chiedere spiegazioni all'amica Teresina. In seguito Antonia viene accusata di stregoneria dal nuovo parroco, Don Teresio, il quale narra al Sant'Uffizio alcuni fatti che riguardano la giovane esposta e che avevano destato negli abitanti di Zardino molti sospetti. L'orfanella infatti aveva fatto amicizia con Biagio, il servo delle sorelle Borghesini, che si era innamorato follemente di lei al punto che Antonia era stata accusata di averlo sedotto e fatto impazzire grazie alla stregoneria. Inoltre, ciò che più aveva scandalizzato gli abitanti di Zardino e soprattutto Don Teresio,era stato il ballo di Antonia e di un lanzichenecco nella piazza, L''esposta, così, non era stata più ammessa in chiesa, dal momento che egli aveva mancato di rispetto alle chiesa cattolica e per di più era luterano. Infine l'orfanella era stata definitivamente accusata di aver stretto un patto con il Diavolo a causa degli incontri notturni sulla collina con un risarolo, Gasparo, del quale si era perdutamente innamorata: si pensava infatti che lei durante quelle ore facesse degli strani riti diabolici. A questo punto Antonia si presenta in tribunale vestita da sposa con i coniugi Nidasio e, dopo aver dichiarato più volte la sua innocenza, viene costretta a confessare attraverso la tortura per poi infine essere bruciata viva sul rogo l'11 settembre 1610.

Commento di un personaggio: Antonia
Sullo sfondo della realtà complessa della bassa novarese seicentesca, si articola la storia di Antonia, una ragazza come tante che viene abbandonata sul torno la fredda notte di Sant'Antonio. L'appellativo che più risuona all'interno del romanzo è “esposta”, termine con il quale non si identifica solo un'orfana ma soprattutto una figlia del peccato che non è mai stata voluta e che forse era nata da una relazione indesiderata di una donna italiana con un soldato spagnolo. La giovane diventa così una vittima della società del '600 e di una mentalità contorta fondata soprattutto sull'ignoranza e sulla corruzione. Il vero motivo dell'accusa di stregoneria dunque non vengono a essere i fatti di cui parla Don Teresio in tribunale ma piuttosto i pregiudizi che schiacciano Antonia fino a condurla ad una confessione forzata e alla morte per la quale addirittura il popolo festeggia. Un altro motivo che aggrava la situazione è la bellezza dell'orfanella che viene vista come una pericolosa strega seduttrice. Possiamo quindi notare una nuova concezione della femminilità che dal mondo greco fino all'Umanesimo era stata esaltata anche con delle produzioni artistiche come la Venere di Botticelli mentre, a cavallo tra il '500 e il '600, viene usata come pretesto per condannare giovani donne come Antonia. Si può osservare dunque un contrasto tra le figure femminili che arricchiscono ulteriormente il romanzo creando sfumature e differenti punti di vista: vediamo così una donna deformata dal tempo e dal peso delle fatiche e degli anni come Francesca Nidasio, la giovane e bella Antonia che cerca di conoscere il mondo ma viene bloccata da una mentalità eccessivamente rigida che coinvolge non solo l'ambito ecclesiastico ma anche quello popolare, e infine Rosalina, una ragazza costretta a vendere se stessa e il proprio corpo da un marito violento e che condanna i preti e le suore della Pia Casa. Quando Antonia, ancora bambina, viene portata via dalla casa di carità è addirittura stupita e quasi infastidita dall'atteggiamento dei coniugi Nidasio, dalle loro attenzioni e dalla tenerezza, tanto che è impaurita dal cambiamento. Esce così dal suo piccolo mondo circondato da suore, preti e dalla prospettiva di essere promessa in sposa a un uomo indesiderato e un nuovo paesaggio comincia a presentarsi ai suoi grandi occhi scuri, una nuova speranza di avere una vita migliore. La bella orfanella cresce così timida, sempre obbediente ma allo stesso tempo curiosa. Con il tempo si manifestano in lei le sue più grandi qualità, la gentilezza d'animo e la dolcezza, che la caratterizzano in alcuni episodi importanti come gli incontri con Biagio per insegnargli a parlare o il suo atteggiamento di benevolenza nei confronti dei risaroli. Tuttavia spesso e volentieri Antonia viene fraintesa, accusata, umiliata tanto che alla fine si arrende alle torture che hanno segnato tutta la sua esistenza e rimane delusa dalla realtà che la circonda: il suo mondo di sogni, speranze e aspirazioni sparisce e lascia il posto alla sua silenziosa disperazione della morte.
Valentina Tomaselli, II B, a.s. 2013-2014

La ragazza di Bube

Mara Castellucci è una bellissima ragazza di sedici anni che vive a Monteguidi con la madre, il padre e il fratello Vinicio. Un giorno nel piccolo paesino toscano si presenta un partigiano di nome Arturo Cappellini, detto Bube, che desidera conoscere la famiglia di Sante, il fratellastro di Mara, morto durante la Resistenza. Tra i due giovani nasce subito un interesse reciproco che sfocia in un frequente scambio di lettere. A San Donato però Bube e i suoi due compagni, Umberto e Ivan, vengono coinvolti in un omicidio. Era accaduto infatti che un prete aveva impedito loro di entrare in chiesa, probabilmente perché erano comunisti, e i tre avevano reagito protestando con il maresciallo che però si era schierato, insieme al figlio, dalla parte del prete. Così Umberto, spinto dall'ira, aveva messo il prete contro il muro ed era stato ucciso da una pallottola sparata dal maresciallo. Per vendicare l'amico caduto ingiustamente, Ivan aveva ucciso il maresciallo e, a sua volta, Bube aveva rincorso e assassinato il figlio. I due innamorati intraprendono un viaggio in bicicletta verso Volterra, dove Bube viveva con la madre e le sorelle. Durante un tragitto in corriera, una donna riconosce il giovane e, vedendo un prete che aveva collaborato con i nazisti, lo costringe assieme ai presenti a picchiare il sacerdote: Bube infatti è conosciuto nella zona come il “vendicatore”. Una volta arrivato a casa, l'amico Lidori informa il ragazzo che rischia di essere arrestato per l'omicidio e lo accompagna in un capannone fuori città dove trascorre due notti con Mara. A questo punto i due innamorati si dividono nascondendosi l'uno in Francia, l'altra invece tornando a Monteguidi. Trascorsa l'estate Mara decide di andare a lavorare come domestica nella famiglia Poggibonsi e stringe subito amicizia con una compaesana di nome Ines. Una domenica, durante una serata al lunapark con l'amica, Mara conosce Stefano, un ragazzo piuttosto timido con il quale però intreccia una storia d'amore. Dopo un anno, Bube vine costretto al rimpatrio e a Firenze viene condannato a quattordici anni di carcere per l'omicidio. Mara ritorna così sui suoi passi, preferendo stare accanto al fidanzato e interrompendo la relazione con Stefano. Sette anni dopo Mara si reca frequentemente in carcere per vedere Bube in attesa che lui sconti la sua condanna e restandogli fedele. Un giorno la ragazza incontra in treno Stefano e, in un breve dialogo, viene a sapere che lavora a Empoli e si è sposato.

Commento di un personaggio: Mara
Sullo sfondo degli anni confusi del dopoguerra, si delinea la figura di Mara, una ragazza di campagna che come tante è animata dalla speranza di un futuro migliore, diverso, più sereno. E' così costretta a crescere in fretta prendendo coscienza della realtà cercando di affrontarla con la spensieratezza dei suoi sedici anni. La vita tranquilla e slegata dalla politica e dagli avvenimenti che accadono intorno a lei viene improvvisamente sconvolta dall'incontro casuale con Bube, un giovane ragazzo partigiano che invece vive pienamente le difficoltà del suo tempo cercando di affrontarle. Mara viene pertanto travolta dal cambiamento e dalla novità tanto da innamorarsi di quel giovane così semplice e allo stesso tempo diverso. Ecco che i rari periodi che passa assieme a Bube la trasformano facendola passare in poco più di un anno da una ragazzina piena di sogni, di speranze e sognatrice, a una donna matura malgrado la giovane età. Questo suo cambiamento interiore la porterà poi a scegliere l'affetto di Bube e a rinunciare alla passione per Stefano. Mara è così meno serena e spensierata e il suo carattere si indurisce con il tempo rendendola in qualche modo più consapevole del suo essere ormai un'adulta e di dover rendersi conto dei suoi compiti e soprattutto dei suoi doveri. Decide, alla fine, di restare fedele a Bube e di aspettarlo manifestando un amore vero e autentico che mi ricorda molto un passaggio del film “I passi dell'amore” dove si dice, che “L'amore è sempre paziente e gentile, non è mai geloso...L'amore non è mai presuntuoso o pieno di sé, non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L'amore non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. E' sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi tempesta”.
Valentina Tomaselli, II B, a.s. 2013-2014