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La vita non è in ordine alfabetico

La vita non è in ordine alfabetico , di Andrea Bajani (Torino, Einaudi 2014), è il libro che ho preferito fra tutti i finalisti del Premio Settembrini 2014. È una raccolta di storie brevi, rigorosamente in ordine alfabetico, che condensano una storia in una parola. Ogni racconto seppur corto è ricco di sentimenti e sensibilità e descrive scene di vita comune, in cui qualsiasi lettore può riconoscersi. È come se l’autore riuscisse a leggere nell’animo di tutti e scovare i sogni più reconditi, le paure vissute da bambini o le angosce che ci affliggono nella vita. Il libro apre con una sorta di prefazione, quasi a giustificare la struttura dell’opera con quel suo dipanarsi tra le lettere dell’alfabeto. Anch’essa è un racconto, che ci insegna come accanto al sentimento conviva la ragione, come i nostri pensieri riportati su carta non siano nient’altro che un susseguirsi di lettere, di segni convenzionali capaci, tuttavia, di avere un’anima e di raccontare il nostro pathos con i loro freddi segmenti ascendenti e discendenti appoggiati su un foglio. Mi piace ascoltare come l’autore descrive i pensieri assurdi che affollano la mente di un futuro papà mentre assiste la moglie in travaglio in sala parto. L’incoerenza della mente umana è raccontata con semplicità ed innocenza, quasi a giustificare l’uomo, che invece di immedesimarsi nelle urla delle spinte della moglie, pensa al cane di sua zia acciambellato sotto la sedia del ristorante. La mente dell’uomo è un ingranaggio misterioso senza nessuna regola o formula, un motore incontrollabile, finché il pianto che si rompe tra le gambe della donna non desta il protagonista e gli dice che sua figlia è nata. La lettera “C” cela la confessione di una donna seduta accanto ad un uomo su un sedile del treno. Il bisogno della signora di parlare con qualcuno per raccontare i dolori della sua vita racchiude una delle immagini più poetiche del libro. Da una parte c’è un senso d’impotenza e smarrimento dell’ascoltatore, che non può far altro che offrire la sua attenzione, dall’altra un senso di liberazione e di rassegnazione nella donna, che scende dal treno dimenticando il suo cuore ancora pulsante sul sedile. Questo cuore inferocito e molle non serve più alla signora ma lui, tuttavia, continua a pulsare all’impazzata e sfugge dalle mani dello sventurato ascoltatore come un animale atterrito, che tenta di fuggire alla cattura. Molti racconti sono ricordi d’infanzia, scene di sofferenze adolescenziali o tragedie familiari, tradimenti di coppia. Ce n’è uno in particolare, che ricordo con piacere e che comincia con la lettera “M”. È la storia di un adulto, che con sollievo non si sveglia più di soprassalto come da studente la mattina quando aveva i compiti di francese svolti a metà o quando si trovava a ripetere i verbi alla fermata. La sua vita è ora un susseguirsi di mattine piene d’aria, senza nessun senso d’inadeguatezza, che provava invece a scuola. Ora egli accompagna a scuola suo figlio e in macchina gli spiega che soltanto l’età adulta spazzerà via questo senso di malessere che prova adesso e che è lo stesso che ha provato lui quand’era studente. Eppure, sebbene adulto, basta un innocuo corso di tedesco, fatto per diletto, per girare la clessidra e far ricominciare tutto di nuovo. Ed ecco ancora quel senso di nausea la mattina per quei compiti non finiti, verbi non coniugati, sostantivi non declinati e quella speranza di non essere chiamato dalla professoressa che si aggira tra i banchi. Leggendo questo racconto ho ripensato ai corsi e ricorsi storici, all’eterno ritorno dell’uguale, alla clessidra capovolta che si svuota e si riempie, al pendolo che danza questo eterno movimento e ho pensato alla complessità della vita dell’uomo, ai suoi intrecci di passioni e sentimenti così intensi da vivere, così veloci da descrivere.

Silvia Luka, III B, a.s. 2014-2015

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