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La signorina Else

Credo che la straordinarietà di questo libro consista nel fatto che non racconta la storia della signorina Else, ma è Else stessa. La storia non è introdotta da alcun narratore, ma proietta il lettore direttamente nella vita di Else e nella sua mente, con un incalzante e intenso flusso di coscienza che si interrompe solo alla fine con la morte di Else e con i suoi pensieri interrotti a metà dal sonno mortale che la pervade a causa del Veronal. Come può accadere quando si hanno l'energia, la forza e la bellezza di diciannove anni, Else si sente al centro dell'attenzione, sembra avere il mondo ai suoi piedi. All'apparenza è una ragazza come tante, pervasa da pensieri e desideri contrastanti: attratta da suo cugino Paul anche se fatica ad ammetterlo a se stessa e cerca di mascherare la sua infatuazione con l'indifferenza, che desidera ora l'amore ora la solitudine, ora avere molti amanti ora non avere nessun uomo, presa dai pettegolezzi e dal divertimento, una ragazza viziata con un'alta opinione di sé. Ma Else non è solo questo: sotto un velo di apparente serenità, agiatezza e spensieratezza c'è una ragazza in bilico, che desidera intensamente vivere e nello stesso tempo desidera abbandonarsi alla morte, perché suo padre aveva sempre ritenuto più importanti i soldi che i suoi figli, perché vive una vita condizionata dai reati di suo padre, perché in fondo è una ragazza sola, che nessuno conosce veramente, circondata da una società corrotta e depravata. Il conflitto interiore di Else ha una maturazione nel corso della storia e raggiunge la sua apoteosi di fronte allo spregevole ricatto del signor Dorsday. In lei si agita un turbinio di emozioni diverse: rabbia nei confronti dei suoi genitori che l'hanno consapevolmente venduta come merce di scambio pregandola di chiedere a Dorsday trentamila fiorini, rabbia ancora nei confronti di quest'ultimo per averle chiesto in cambio di vederla nuda, la voglia di scappare lontano da tutto e da tutti per vivere libera da imposizioni e da apparente perbenismo, il desiderio di morire per non dover scegliere fra la propria dignità e le sorti di suo padre, per ribellarsi allo "sfruttamento" a cui è sottoposta. Nonostante tutto però non riesce a odiare suo padre, non vuole saperlo in prigione, anche se lo meriterebbe, o peggio ancora, indotto al suicidio. Ben presto si delinea nella sua mente la consapevolezza che deve ottenere quei soldi, comincia a cedere, perché in fondo è questo che la società le chiede di essere e di fare. Come un fiore che soffoca circondato dai rovi, Else comincia a morire dentro, prepara il Veronal come ancora di salvezza, ma compie un atto di ribellione: un estremo tentativo di avere l'ultima parola, di vendicarsi di Dorsday e sceglie di spogliarsi non solo davanti a lui, ma alla presenza del maggior numero possibile di ospiti dell'albergo dove alloggia. Scendere, mostrarsi a tutti e poi bere il Veronal, questo è il suo piano, ma in fondo spera sempre che si tratti solo di un incubo, che il signor Dorsday le dica che si è trattato solo di uno scherzo, che i suoi genitori le scrivano ancora per dirle che è tutto finito, che il prestito non è più necessario, continua a sperare, alla fine, di non dover morire. Arriva un telegramma di sua madre che però comunica che la somma è aumentata da trenta a cinquanta mila fiorini e che deve fare in fretta. Le speranze di Else si infrangono come cristallo contro un muro di mattoni. Dorsday sta ascoltando con altri ospiti una donna suonare il piano quando Else lo trova, coperta solo del proprio mantello. Else si toglie il mantello e perde il controllo di una situazione molto più grande di lui: perde i sensi per un attimo, rinviene, ma finge di essere ancora svenuta e la scena entra in una dimensione quasi onirica. Comincia a crearsi quella parete che divide Else da tutti gli altri intorno a lei che ipotizzano motivazioni che spieghino il suo gesto, senza capire, come Else aveva previsto. Dorsday ha lasciato subito la stanza, ma Else sa che avrebbe rispettato il patto: non è un uomo malvagio, è solo vile e depravato, manderà i soldi a suo padre, se non altro per il senso di colpa. Else viene portata in camera e messa a letto. È fatta. Else sfrutta un momento di distrazione di Paul, che veglia su di lei, e della sua amante Cissy e beve il Veronal. Non poteva più accettare di vivere, non dopo il proprio gesto. Sceglie dunque la morte, il punto di non ritorno è oltrepassato e qui il suo contrasto interiore raggiunge l'apice della drammaticità nel suo urlo muto: non voglio morire! Come se infine pensasse che non ne valesse la pena; chiama Paul perché la salvi, ma non riesce a parlare percè il Veronal le ha causato una paralisi, ma questo mostra anche lo spessore del muro che si è creato fra lei e coloro che la circondano, che sono specchio di una società decaduta e ormai al tramonto, e Paul infondo non è diverso dagli altri perché ha una relazione con Cissy, come Else immaginava, che è una donna sposata. Else allora si abbandona a una morte lenta e indolore, fra pensieri di leggerezza e libertà e la sua morte sopraggiunge lasciando a metà i suoi pensieri, o come cantava Fabrizio De Andrè nella sua Ballata degli Impiccati: "Coltiviamo per tutti un rancore / che ha l'odore del sangue rappreso. / Ciò che allora chiamammo dolore / è soltanto un discorso sospeso." Tricoli Marta, I B, a.s. 2012-2013

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