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La morte a Venezia

Thomas Mann, La morte a Venezia, Roma, 1990, Newton Compton Editori, pp. 65. Un luogo misterioso, senza tempo, sospeso tra terra e mare, punto d’incontro tra Oriente e Occidente: Venezia. La controversa atmosfera di questa città, che è al contempo affascinante e oscura, sfarzosa ed enigmatica, fa da sfondo alle vicende di Gustav Von Aschenbach, poeta ormai anziano che, sebbene famoso in tutto il mondo, trascorre la sua esistenza in una “solitudine che genera l’originalità, la strana e inquietante bellezza, la poesia, ma genera anche il contrario: l’abnorme, l’assurdo, l’illecito”. Questo personaggio non si è mai lasciato travolgere dalle passioni, è sempre vissuto da solo: “impressioni e immagini che facilmente si potrebbero liquidare con un’ occhiata, un sorriso […] lo preoccupano oltre misura, si radicano in silenzi […] si trasformano in avventura, episodio, sentimento”. La morte a Venezia, racconto di Thomas Mann pubblicato nel 1912, si svolge quindi principalmente all’interno dell’animo del protagonista, che assiste costernato e attonito alla nascita di una travolgente passione, che lo trascinerà, inerme, fino alla morte. Aschenbach, colpito da un’improvvisa voglia di viaggiare, a lui completamente estranea, decide di soggiornare in una località marittima e raggiunge via mare “l’incomparabile, l’incredibilmente favoloso” che può trovare soltanto a Venezia. Alloggia al Lido, presso l’Hotel Des Bains: lì rimane estasiato dalla stupefacente bellezza di un giovane fanciullo polacco in vacanza con la famiglia. I giorni si susseguono colorati da nuove emozioni e sensazioni, mai provate prima da Aschenbach, fino a giungere, dopo un fatidico sguardo rivolto dal fanciullo al poeta all’ “eterna formula del desiderio, impossibile in quel caso, inammissibile e infame, grottesca e insieme sacra e venerabile: ti amo”. Non è tuttavia, come potrebbe sembrare, tanto il racconto di un amore omosessuale, quanto l’elogio di un amore per la bellezza, “la sola forma dello spirito che si possa percepire con i sensi e che i sensi siano in grado di sopportare […], la via che conduce allo spirito”. Il sentimento di Aschenbach diviene sempre più profondo: a questo punto egli nota che un’ aura oscura è calata su Venezia. Dopo varie indagini, scopre che nella città infuria il colera asiatico: questa malattia, per Mann, altro non è che un espediente metaforico per descrivere l’ atmosfera di disastro, crisi e decadenza che si respira in Europa a inizio ‘900. Per Aschenbach urge una decisione: ma il protagonista, ormai infatuato, preferisce la morte alla separazione dal giovane Tadzio. Infine, una mattina, l’anziano poeta contempla Tadzio sulla riva, i loro sguardi si incrociano un’ultima volta, il giovane solleva il braccio indicando lontane e infinite promesse, e Aschenbach muore, sognando di immortalare finalmente la vera bellezza. Marie Sophie Mourguet, II B, a.s. 2012-2013

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