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Conversazione in Sicilia
Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia.
In quest'opera Vittorini, racconta di un uomo, Silvestro, e del viaggio di ritorno nella sua terra: la Sicilia.
Dopo aver saputo della separazione dei genitori, il giorno dell'onomastico della madre, il protagonista decide di andare a trovare quest'ultima, nello stesso paesino dal quale era scappato, quindici anni prima. Quella che Vittorini ci racconta è la storia di due viaggi paralleli: uno materiale, che l'uomo compie, con tutte le sue vicissitudini e i vari incontri, e uno mentale, che il protagonista affronta, ritornando indietro sui suoi passi, andando a ripescare alcuni ricordi, negli angoli più remoti della sua memoria.
Quella che l'autore ci presenta è una storia che sa di vero, di terra, di gente, di miseria, di forza, di un passato che potrebbe essere appartenuto a ciascuno dei lettori; ma allo stesso tempo fa trasparire dei dettagli che possono allontanarla dalla realtà terrena in cui inizialmente la si era collocata. Vittorini, infatti, nell'ultima delle cinque parti in cui è divisa l'opera, pone davanti a Silvestro un' "ombra": l'ombra del fratello morto in guerra, della cui scomparsa verrà a sapere solo una volta tornato dal cimitero.
Realtà o finzione? Questo è il dilemma.
Il dubbio è ciò che mi rimane.
Il dubbio sulla sanità mentale del protagonista, sulla reale avvenuta dell'intera avventura. "Se fosse solo una fantasia? Se Silvestro non avesse mai lasciato Milano? Se avesse mandato la solita cartolina d'auguri alla madre invece che salire su quel treno? Se non fosse mai andato a trovarla?". In effetti a confermare tutto ciò è stato lo stesso autore, che dopo aver negato la presenza di note autobiografiche nella storia, ha anche affermato che la terra di cui parla, la Sicilia che ci racconta non è quella reale, ma semplicemente una terra che potrebbe avere qualunque nome e che potrebbe trovarsi in qualunque angolo del mondo, ma che continuerebbe a rappresentare quel passato che accomuna tutti noi. «è solo per avventura Sicilia; perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela.»
Per questo, da un certo punto di vista, sono rimasta un po' delusa da "Conversazione in Sicilia". Mi aspettavo una storia che mi avrebbe portata tra le alte vette e i più bassi meandri di quell'isola favolosa, finita la lettura avrei voluto aver memoria di una terra che non ho mai realmente visitato, ma della cui descrizione mi sarei subito affascinata, senza il bisogno di vedere fotografie o di sentire grandi avventure, ma semplicemente attraverso le parole, i pensieri del suo popolo. Invece mi sono ritrovata davanti ad una storia le cui parti non erano collegate da nessun legame logico, in cui le conversazioni risultavano, a volte, ripetitive e lente.
Ciò che "Conversazione in Sicilia" ci offre è anche un quadro della situazione di quest'isola, in un passato nemmeno troppo lontano: i numerosi personaggi, che Silvestro incontra, rappresentavano, nel loro piccolo, la raffigurazione di una popolazione stremata dalla fame, dalla miseria, dalla malaria e dalla tisi, dalla ricerca di un riscatto sociale irraggiungibile, sepolto sotto montagne di lavoro da sbrigare, andando contro quella fatica e quella stanchezza che ti spezzano le ossa.
Di una cosa sono, però, rimasta affascinata: all'inizio della storia, Silvestro era un uomo senza speranze, senza aspettative, senza memoria, senza forza. Viveva nella "non speranza".
"Ero quieto; ero, come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo che cosa significa essere felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffè, mai stato a letto con una ragazza, mai auto figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un'infanzia in Sicilia tra i fichi d'india e lo zolfo, nelle montagne; ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l'acqua mi entrava nelle scarpe. "
Era come se vivesse in uno stato di trance: nulla aveva peso, nulla aveva importanza. Non faceva differenza per lui essere in un posto o in un altro, parlare o tacere, stare fermo o muoversi. Poi, invece, tutto cambia. Inizia a capire che essere in Sicilia, nella sua terra, nella terra della madre, della sua infanzia, dei suoi giochi di bambino, era meglio che essere altrove. Per una volta, c'era qualcosa che faceva la differenza. Per una volta, si ricordava perfino di aver avuto anche lui un passato.
Credo che quello che Vittorini cerchi di fare, non sia descrivere un semplice viaggio, ma un viaggio di ritorno. Un viaggio in grado di risanare il corpo, l'anima; un percorso nel quale il protagonista si inoltra,inconsciamente, per rinascere, per ritrovare il proprio essere, la voglia di scoprire, di sorprendersi, di lottare, di vivere.
Quello che mi rimane, dopo questa lettura, è la convinzione che anche quando si perde ogni speranza, per quanto sembri tutto finito, c'è sempre un qualcosa a cui aggrappassi per ricominciare.
Sofia Erlicher, II B, a.s. 2012-2013
Autore
Vittorini Elio
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