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Il bambino che sognava la fine del mondo

La scelta antologica che ci è stata proposta de Il bambino che sognava la fine del mondo si focalizza sulla storia di un professore universitario di Bergamo, editorialista de La Stampa, che si ritrova a che fare con una vicenda che ruota intorno a dei terribili presunti episodi collegati di pedofilia di città diverse.
Credo si faccia molta pressione sulle conseguenze psicologiche della società a seguito di gravi avvenimenti, quali la pedofilia. L'autore sottolinea infatti la paura morbosa dei genitori, la patetica propensione allo scandalo, l'insistente accusa nei confronti di tutti e tutto, il vittimismo. Penso sia interessante come venga messa in luce quasi con ossessione il fenomeno dell''epidemia del terrore', nella quale l'irrazionalità vince la facoltà intellettuale di essere oggettivi, invadendo la mente delle persone fino ad eliminarne categoricamente il senso critico. E' inoltre incredibilmente verosimile l'atteggiamento delle persone che iniziano a vivere in un perenne stato di allarmismo, dove anche i più piccoli sintomi innocui, che in una situazione normale sarebbero assolutamente stati ignorati, ora vengono enfatizzati e ricondotti sempre ad un unico male, al male per il quale tutta la comunità sta combattendo in quel momento, nel caso dell'opera la pedofilia.
Certo è che l'argomento è molto delicato e come non commiserare quei genitori preoccupati, come non poterne capire gli atteggiamenti anche troppo protettivi in una situazione del genere? Del resto però, visto come si va a concludere la vicenda, ci si dovrebbe interrogare in quale caso si debba ricorrere a tale allarmismo, come capire se le informazioni sono vere o meno, che posizione prendere a riguardo senza seguire indistintamente la massa senza ragionare. Si potrebbe dire che questo è un uso comune dal momento che lo vediamo correntemente nella nostra vita quotidiana quando una "crisi" viene più pubblicizzata rispetto ad altre, talvolta per nascondere ciò per cui ci si dovrebbe veramente preoccupare.
Mi ha colpito inoltre come la pseudo innocuità di un'azione, tuttavia ricattabile in quanto non riconducibili alle migliori lodi, viene spesso volutamente trasformata in altro, aggravandola, mutandola, facendola diventare tutt'altra cosa, o molto più grave o, anche se non in questo caso, nascondendola. Sembra di appartenere ancora alla società "della vergogna", come era quella degli antichi greci. Tuttavia sono rimasta affascinata da come tutto sia nato da una falsa testimonianza che fa molto riflettere sia sulla possibile non veridicità delle parole altrui, sia su come sia facile tramutare la verità in menzogna. Qui l'espediente era la ricerca di un amore perduto, l'illusione che attraverso questo gesto estremo la madre avrebbe ritrovato il suo senso materno. Mi fa riflettere come attraverso ciò, Scurati faccia emergere anche un'altra riflessione, quale l'incapacità di accettare i propri limiti e di ricorrere all'aiuto di un'altra persona. Ciò che fa paura è la nostra implacabile propensione alla legittimazione delle nostre azioni, non avendo il coraggio di renderci conto della loro assurdità. Mi fa inoltre pensare quanto questa legittimizzazione effettivamente ci faccia sentire meglio e a nostro agio, quanto la menzogna creata per sistemare le cose sia effettivamente efficace, quanto possa sopravvivere, quanto possa essere creduta. In effetti l'autore, a mio parere, mette in luce la differenza che c'è sul far credere e credere noi stessi alle nostre menzogne. E' incredibile come gli altri possano dare attendibilità alle nostre false parole e quanto noi, nonostante la volontà di cambiare la nostra condizione attraverso la fandonia, siamo sempre più coscienti della falsità delle nostre parole e delle nostre azioni e ci facciamo corrodere l'animo dalla bugia stessa, incapaci di ritornare all'insofferente realtà, incatenati ad una invivibile situazione fittizia e non autentica. Infatti il problema non sembra quello di far credere agli altri le nostre bugie, quanto quello di farle credere a noi stessi, in quanto coscienti della loro natura menzognera. Scurati sembra non dare un'effettiva risposta al dilemma, dal momento che si limita a mostrare il fenomeno, ma tuttavia credo possa essere interessante chiedergli se a parer suo effettivamente il sistema della società moderna si faccia influenzare così tanto dalle false testimonianze e quanto queste false testimonianze portino al declino delle persone.
A proposito di influenza, credo sia intrigante quanto noi, uomini del nuovo millennio, siamo condizionati dai mass media, quanto le nostre paure siano effettivamente derivate da ciò che si dice in televisione e quanto la gravità di una situazione sia giudicata in base a quanta attenzione si riesce a catturare dall'audience piuttosto che in base all'effettiva serietà e drammaticità della situazione.
Ritengo poi che lo scrittore ci abbia proposto un'altra importante tematica, quale l'inadeguatezza che noi tutti possiamo provare nel momento in cui, infelici della nostra persona, tentiamo di ignorare il nostro io imitando la vita di un altro, o alimentando la nostra infelicità con l'invidia. E' sempre il caso della signora Comi che ammette il fatto di aver accusato una delle maestre perchè mentre l'insegnante riusciva ad avere lavoro e più figli, lei non riusciva a gestire il suo piccolo.
La vicenda si conclude con un acre lieto fine, dove la verità incredibile viene fuori e dove il senso di iniziale sfiducia verso gli altri, si tramuta in un avvilente senso di smarrimento. In ogni caso è molto stimolante la contrapposizione tra l'atteggiamento di completo distacco dei genitori a seguito del massacro ne 'Il sopravvissuto' ed il loro qui attaccamento agli stessi figli, che nell'altro libro facevano paura mentre in questo caso vengono protetti in maniera quasi morbosa; tuttavia mi rendo conto che l'età della prole è differente: nel primo caso si parlava di adolescenti, in questo di bambini ancora apparentemente innocenti. A proposito di innocenza è estremamente drammatica la situazione di quest'opera dal momento che essa viene da una parte brutalmente violata dal pietoso fenomeno della pedofilia, dall'altra messa in discussione alla rivelazione della signora Comi, quando parla dei giochi a sfondo sessuale fatti incoscientemente dalla figlia. Quindi ci si dovrebbe interrogare su quanto effettivamente i bambini siano ancora innocenti e quanto piuttosto conoscano realtà decisamente inadeguate rispetto alla loro età (a causa di ciò che vedono? di ciò che sentono? o piuttosto per pura infantile curiosità?).
Mi è dispiaciuto il fatto che nell'antologia non vengano proposti ricordi d'infanzia dell'autore, delle sue paure, dei suoi profondi pensieri trattati invece nel testo integrale. Tuttavia penso che comunque mi abbia offerto molti spunti di riflessione che hanno reso la mia lettura molto partecipata ed attenta.
Sara Manzoni, I B, a.s. 2011-2012

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