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Il bambino che sognava la fine del mondo

La storia è ambientata in una città del Nord, Bergamo, e si incentra sulla narrazione di una situazione complicata. Tre maestre ed un prete sono accusati di abusi sessuali su bambini. L’avvenimento getta la società in uno stato di terrore e di ansia perenne in cui, a differenza di come si era visto nel Sopravissuto, un altro romanzo di Antonio Scurati, le persone non cercano conforto a vicenda ma si isolano nel terrore del prossimo e della comunità. La televisione e i mezzi di comunicazione di massa, divengono, per questi, degli oracoli. L’allarmismo e la paura sono caratteristici di questa società ma vengono maggiormente alimentati nei cittadini dai media, la ripetizione martellante e l’iperbole a cui sono portate cause e conseguenze. È tragica la mancanza di oggettività da parte di tutti, il desiderio unico e senza scopi di puntare il dito contro qualcuno anziché di indagare e conoscere in maniera razionale. Quella che si verifica tra giornali, radio, televisioni sembra una gara per raccontare in modo più truce episodi orrendi che continuano a creare insicurezza nelle persone. Si potrebbe quindi definire responsabile il meccanismo dei media, infatti in questo romanzo a prevalere non è il tema della pedofilia (anche se viene trattato non stabilisce una denuncia dichiarata verso questi atti orrendi); ma dal mio punto di vista il tema è la paura. La paura e la mancanza di fede nel futuro; come ne Il Sopravvissuto anche in questo romanzo credo sia possibile riconoscere uno sfondo di ipocrisia e di menzogna ma soprattutto sembra che questa società che si ritiene molto moderna e senza dubbio raziocinante sia invece soffocata nell’ignoranza tanto da prestare fede a credenze popolari come l’incarnazione del diavolo o l’accusa verso tutti i bimbi, figli di immigrati, di aver diffuso l’epidemia di varicella, all’interno della scuola, quando in realtà questi stessi ne erano stati vittime. Una società falsa, angosciata e intimorita; è questo che evidenzia il protagonista che nei passi antologici da me letti, svolge quasi unicamente una funzione di narratore. Egli mantiene molte caratteristiche comuni con l’autore del romanzo. Sorge quindi spontaneamente la domanda su questo evidente parallelismo. Mi chiedo se l’autore: Antonio Scurati volesse scrivere una storia con alcuni connotati autobiografici o se magari intendesse denunciare quelli che secondo lui sono i problemi della società odierna esponendo anche sue perplessità. O forse l’interpretazione è in entrambi i casi scorretta e quello a cui l’autore voleva alludere è di diversa natura. Apprezzo molto e ammiro l’autore per l’attenzione che rivolge ai dettagli; le descrizioni a volte trascurate sono in alcuni momenti tanto minuziose da essere quasi graffianti. E allo stesso modo è grande l’abilità nella variazione lessicale che si nota fra i personaggi e con questa anche la diversificazione della modalità di espressione.

Giorgia Zecchin, I B, a.s. 2011-2012

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