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Il bambino che sognava la fine del mondo

Il Bambino che sognava la fine del mondo.
Crimini orrendi, accuse avventate, paure terribili che dilagano in un’atmosfera di angosciosi mormorii. Non sono solo questi i temi affrontati da Antonio Scurati ne Il Bambino che sognava la fine del mondo:questo romanzo vuole anche, e soprattutto, muovere una feroce critica alla società moderna, improntata ormai su talk show che, oltre a fare del dramma e del dolore umano spettacolo, al pari di film e trasmissioni, suscitano negli spettatori curiosità morbose, paure e timori spesso infondati. Infatti la principale vicenda che si svolge all’interno del romanzo è da imputare, per gran parte, al polverone sollevato dai mass-media: con trasmissioni, giornali, ed interviste, questi sono riusciti a fare insinuare nelle menti paure e sospetti, divenuti quasi subito certezze sulla base di temuti, e forse anche un po’ sperati riscontri in realtà inconsistenti, nati dopo osservazioni ossessive e tormentate riflessioni. Il fatto avviene a Bergamo, dove, in un asilo, alcune maestre vengono accusate di pedofilia; quasi contemporaneamente un prete del seminario di Bergamo è ritenuto colpevole dello stesso reato: il protagonista, un professore universitario, viene chiamato ad indagare e a lasciarsi coinvolgere da questi angoscianti episodi, dapprima controvoglia, poi sempre più interessato, in quanto essi hanno risvegliato in lui ricordi della sua non facile infanzia, fatta di ansie e paure, arrivando addirittura a “sognare la fine del mondo”. Quindi egli giunge al punto di fare amicizia con la principale accusatrice delle maestre, Marisa Comi, madre di una bimba di cinque anni: la donna aveva iniziato a pensare che sua figlia fosse vittima di abusi quando le aveva trovate le mutandine sporche di qualche goccia di sangue. Allora si era scatenato il putiferio: riunioni ed assemblee, schieramenti di “innocentisti” e “colpevolisti”, Bergamo divenuta “terra di serpi” in cui “non si poteva più fidare di nessuno perché “all’ombra di ogni pianerottolo si nascondeva un potenziale pedofilo”; “ da quel momento in avanti ogni segno sarà sintomo, ogni disagio abuso, ogni attesa presagio”. E la città, invece che coalizzarsi per determinare quelli siano le prove consistenti, quali le testimonianze veritiere, quali i ragionamenti verosimili, si scinde in fazioni, partecipa a trasmissioni: ciascun genitore osserva ansiosamente il figlio, alla ricerca anche di una minima prova a favore delle proprie tesi. Ormai “Il Male è certezza”, il Diavolo è presente: l’accusa alle maestre e al prete è quella di aver più volte sottratto i bambini dell’asilo, averli condotti in Seminario, e lì averne abusato. A nessun importa quanto si inverosimile che tutto ciò sia accaduto per intere settimane, e che nessun se ne sia accorto: è già n atto un processo di “ colonizzazione mentale”, alimentato il più possibile dai mass-media. Ognuno porta avanti la propria opinione su come possa essere acceduto un simile fatto, sul perché sussistano oscenità e atti di questo genere: gli eventi scandalistici vengono analizzati in ogni minimo particolare, la “Malvagità del mondo” esaminata da psicologi e scienziati, i diretti interessati intervistati a talk show. Anche Marisa Comi decide di partecipare a “Matrix” perché “ha qualcosa da dire”: ha inventato tutto, lei! In realtà la bambina giocando innocentemente con un compagno di classe in giardino, si era leggermente ferita con un rametto: con questa confessione, la donna sconvolge il pubblico, la città, tutti coloro che seguivano il caso. Allora nascono spontaneamente le domande: perché? E, come è potuto succedere? L’autore fornisce subito le risposte, perché “ essere la mamma di quella bambina disgraziata l’aveva fatta sentire finalmente viva, […] speciale”, e tutto era accaduto in quanto “la gente pensa sempre al peggio”. E a questo punto che ci si rende conto della sconvolgente critica del narratore: un inquietante caso di “auto-convincimento” collettivo fondato su prove inesistenti, quasi come se la gente “ non desiderasse altro” e “ aspettasse soltanto che qualcuno scagliasse la prima pietra”., per accanirsi contro persone innocenti, per farsi prendere dalla paura, che sembra ormai l’unica grande passione dell’umanità.

Marie Sophie Mourguet, classe I B, a.s. 2011-2012

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