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Mandragola 2

NICCOLO’ MACHIAVELLI, Mandragola, Milano, Rizzoli 2010, pp. LXIV-164

Il giovane Callimaco, giunto a Firenze per vedere Lucrezia, famosa persino in Francia per la sua bellezza, si innamora di lei, ma purtroppo la donna è già sposata con il non più giovane messer Nicia. Callimaco chiede quindi aiuto a Siro, suo servo, e a Ligurio, un parassita che era stato anche un sensale Quest’ultimo convince Nicia, sapendo che costui cerca invano di avere un figlio, che Callimaco è un dottore in grado di risolvere il suo problema con una pozione di mandragola e garantisce che la donna, una volta bevutola, rimarrà incinta. C’è però un problema: il primo che avrà rapporti con lei morirà entro otto giorni. Ligurio quindi propone di rapire un semplice garzone, che in realtà sarà poi Callimaco, e di farlo giacere con la donna. Nicia accetta e conta di ottenere l’appoggio della suocera Sostrata, ma ritiene che sarà difficile convincere la moglie. A questo punto viene coinvolto fra’ Timoteo, il confessore della donna, e questi, una volta che gli viene promessa una grossa somma da dare in carità (anche se è chiara la vera destinazione dei soldi), accetta di convincere Lucrezia. La sera quindi, sotto mentite spoglie, dopo che la donna ha bevuto la pozione, Ligurio, Nicia, Siro e fra’ Timoteo, travestito da Callimaco che deve essere presente per non far capire al marito l’inganno, catturano un passante, che ovviamente è Callimaco, e lo portano da Lucrezia. Dopo una notte d’amore, il giovane si rivela e Lucrezia acconsente a diventare sua amante ben volentieri avendo sperimentato la differenza tra lui ed il marito. La commedia si chiude con tutti i personaggi riuniti in chiesa e con la promessa di Nicia di ospitare ogni volta che abbia piacere di venire il benefattore Callimaco, che in realtà altro non è che l’amante della moglie.

Fra’ Timoteo
Frate Timoteo aspira di più ai beni terreni che alla salvezza divina: accetta di ingannare pur di ricevere un compenso, anche se vorrebbe convincere il prossimo, e forse pure se stesso, che il suo comportamento ha come unico fine il far del bene. Arriva perfino a mentire su ciò che c’è scritto nelle Sacre Scritture per convincere Lucrezia, affermando che tradire il proprio marito per una giusta causa non è peccato, cioè che il fine giustifica i mezzi. L’unico criterio con cui decide se fare una cosa o no è il calcolo di quanto ne può ricavare in termini pecuniari. Inoltre la scelta del nome da parte dell’autore non è avvenuta per caso, ma sottolinea la contraddizione insita nel personaggio tra come dovrebbe agire e cosa invece fa: se anche si chiama Timoteo, “colui che onora Dio”, non per questo le azione del frate sono mirate a onorare il Signore, ma al massimo guadagno personale. Utilizza anzi la religione per avvantaggiare i suoi affari in nome dell’unica cosa che per lui conta: i soldi.


Chiara Zardo, II B

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