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La marcia di Radetzky

La marcia di Radetzky narra la storia del giovane tenente Trotta impegnato sul campo di battaglia di Solferino. Un giorno d’estate, con un gesto casuale e spontaneo di combattente, il soldato salva la vita all’imperatore Francesco Giuseppe, che stava per essere raggiunto da un colpo di fucile nemico, e ne rimane ferito. L’imperatore lo nomina barone per riconoscenza, nobilita il suo cognome con il prefisso “von” e lo promuove nell’esercito. Da quel momento il destino di un modesto sergente di origini contadine muta per sempre e con lui anche quello dei suoi discendenti. Il suo comportamento in battaglia viene descritto come gesto eroico nei libri di storia, eppure egli non lo riconosce tale e non accetta di essere nobilitato gratuitamente. Ricevuto a colloquio dall’imperatore egli sceglie di rinunciare al suo ruolo di eroe abbandonando l’esercito.
La storia continua e si concentra poi sulla vita del figlio del sergente Joseph: Franz. Questo è un commissario distrettuale, fedele servitore dello Stato: la sua vita è monotona e ripetitiva, è attaccato morbosamente al suo lavoro e nutre un sentimento di estrema fiducia verso l’impero e i valori asburgici. Come il padre Joseph, anche Franz rimane vedovo con un figlio solo, anch’egli sottotenente nell’esercito austriaco. E’ proprio Carl, figlio del commissario Franz e nipote dell’eroe Joseph a dare un taglio diverso al racconto, intriso di rettitudine e fedeltà. La sua vita scorre parallela a quella del suo eroico nonno, senza mai riuscire ad essere all’altezza delle sue gloriose gesta. Anch’egli appartiene all’esercito, eppure nella sua vita non mancano avventure amorose, ubriacature, comportamenti che di certo non fanno onore alla memoria dell’ormai defunto antenato. Carl accumula pesanti debiti di gioco e per questo il padre Franz si reca a colloquio dall’imperatore Francesco Giuseppe per salvarlo. La decisione di lasciare l’esercito prima dello scoppio della grande guerra e il ritorno al fronte per combattere contro il nemico segnano la fine della vita abulica di Carl. Egli muore nel grigiore di uno squallido giorno al fronte; la morte arriva per caso, senza aver mai combattuto, senza aver mai visto il nemico contro il quale s’era preparato per tutta la sua vita. Egli cade non impugnando un’arma, bensì due secchi d’acqua, mentre la banda tambureggia la marcia di Radetzky. Fino all’ultimo respiro la presenza di suo nonno e l’inevitabile confronto: il coraggio di un eroe, da un lato, l’abulica vita di un soldato per caso, dall’altra.


Commento La marcia di Radetzky ripercorre la storia della famiglia Trotta attraverso tre generazioni. Non esiste un personaggio principale: la vita del nonno, del padre e del nipote si intrecciano e si separano, si uniscono e si scontrano lungo tutto il racconto. Forte ed incisivo è il contrasto tra Franz, figlio dell’eroe e Carl, nipote di Joseph. Le loro esperienze sottolineano il passaggio tra un secolo e l’altro, il cambiamento dei valori in cui credere: il padre Franz appartiene ancora a quella società austriaca robusta e solida, è un fervente sostenitore dell’Impero; Carl è invece disilluso, turbato, vorrebbe credere, ma non ci riesce. Pur essendo anch’egli servitore dell’imperatore, avverte lo sbriciolamento di un mondo su cui non trova sostegno: ecco allora la ricerca e il bisogno di nuove certezze, di nuovi rifugi come l’alcol, il gioco, le avventure trasgressive. Carl è un uomo moderno, appartiene ad una società che sta sbocciando all’albeggiare del nuovo secolo, ma è soprattutto un soldato per caso. L’appartenenza all’esercito è puramente casuale, un rito, una scelta dovuta, una manifestazione esteriore e vuota, in cui non riesce a trovare senso alcuno. Carl è soldato come il nonno, eppure l’unico vero erede dell’eroe di Solferino è Franz, suo padre. Egli non appartiene all’esercito, ma serve lo Stato come viceprefetto e dona il suo unico figlio all’imperatore. Rimane per sempre fedele alla patria, anche se poi, proprio alla fine del romanzo, si capisce che l’unica cosa che lo lega a Francesco Giuseppe è la vecchiaia. Ora che sono ambedue al tramonto della vita, non c’è più nessuna distanza tra loro. Francesco Giuseppe è un vecchio stanco di vivere, un anziano troppo debole che vorrebbe essere caduto già a Solferino; Franz è l’unico testimone dei fasti dell’impero asburgico, ma la morte del figlio gli ha strappato l’unico alito di vita che da uomo anziano era riuscito a conservare. Su di essi gravita lo stesso destino, la morte li ha ormai adocchiati e la differenza gerarchica, che separava i due uomini di allora, lascia il posto oggi al desiderio comune di abbassare il sipario e di porre fine alla commedia. La notizia della morte del figlio non coglie Franz alla sprovvista, è come se l’aspettasse da sempre. Le ultime pagine dell’epilogo sono profondamente toccanti e talvolta inquietanti. Il vecchio Franz si spoglia di quell’uniforme che aveva sempre indossato, ripete a tutti che suo figlio è morto. Non è morto da eroe, non è caduto valorosamente, non sa neppure se ne valesse la pena, ma comunque è morto. Franz conosce per caso l’infermiera von Taussig all’ospedale psichiatrico e scopre essere stata l’amante di suo figlio. Ora coglie che le sue scappatelle, le sue divagazioni amorose non erano stupidi guai e capisce che darebbe qualsiasi cosa purché suo figlio ne avesse ancora di quelle avventure! Il giovane Carl vive costantemente di suo nonno. Spesso ripensa al ritratto dell’eroe di Solferino che si perdeva nell’ombra del soffitto della casa paterna. E’ lo stesso ritratto che accompagna anche la vita di Franz fine alla fine dei suoi giorni. E’ l’ultima e forse l’unica cosa che gli serve per saltare il confine ed approdare sulla sponda opposta alla vita. L’immagine di quell’eroe per caso segna l’inizio dell’esistenza di Franz, pesa sulle spalle del nipote, aleggia costantemente nelle menti dei due eredi. Forse il nonno, pur non essendolo in battaglia, è stato un eroe in vita, un esempio di rettitudine e di onestà che ha plasmato figlio e nipote a volte schiacciandoli involontariamente sotto il peso del confronto.

Silvia Luka, I B, a.s. 2012-2013

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