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La sventurata Irminda

Alfredo Panzini inizia il suo racconto narrandoci la sua esperienza di studente al convitto Marco Foscarini di Venezia. In effetti, nel primo capitolo l’autore riporta molte descrizioni sul metodo di studio, sul modo in cui si trascorrevano le giornate nella scuola, sui pensieri che vagavano nelle menti dei giovani ragazzi ed i loro desideri. Con l’inizio del secondo capitolo, assistiamo a un salto repentino di molti anni: il protagonista si è laureato in lettere ed è diventato professore di liceo; ha così avuto modo di imbattersi spesso nel nome del letterato Gasparo Gozzi, personaggio molto amato da un suo vecchio insegnante del ginnasio (l’abate Manzoni) che lo citava continuamente. Così si dedica allo studio ed alla ricerca sui dettagli della vita di Gozzi e in particolare di sua moglie, la signora Bergalli. Questa, diventata poetessa d’Arcadia sotto il nome di Irminda Partenide, suscita la curiosità del nostro protagonista. Dopo aver consultato perfino l’Antologia delle scrittrici italiane dalle origini all’800 per ritrovare qualche notizia su di lei, inizia a studiare la storia della sventurata scrittrice. La donna, infatti, nonostante avesse conosciuto momenti di gloria letteraria nell’Accademia dell’Arcadia, viene poi trascinata in un lento declino nel corso della sua vita coniugale. Dopo aver provato le conseguenze dell’amore, prima definito come una fonte di gioia ed estasi, poi identificato in un sentimento crudele, abbandona sempre di più l’ambiente culturale per dedicarsi alla cura dei cinque figli e del marito Gasparo Gozzi che viene rappresentato come un personaggio piuttosto inetto; senza contare che Irminda si trova a dover fronteggiare l’aperta ostilità del rancoroso cognato: Carlo Gozzi. Però, nel tentativo di sostenerlo di fronte alle difficoltà finanziarie in cui versa la famiglia, finisce per peggiorare la situazione. Gasparo non riesce ad ottenere più alcun incarico lavorativo, sebbene la moglie tenti più volte di aiutarlo di fronte alle autorità che si occupano dell’assegnazione dei posti di lavoro. I coniugi, indebitati, portano avanti la loro vita tra stenti e frustrazioni; Irminda in particolare per morirà a causa del misterioso morbo nero, lasciando però una traccia immortale, cioè le sue opere. Le vicende prendono dunque avvio da Venezia, città in cui l’autore frequentò il ginnasio ed il liceo al convitto M. Foscarini e dove in seguito proseguì i suoi studi su Gasparo Gozzi. Il ricordo del Foscarini non risulta sempre positivo, anche se vengono ricordati molto positivamente alcuni insegnanti. Quanto invece alla città lagunare, essa è descritta con nostalgia e talvolta l’autore propone delle citazioni molto suggestive, legate ad esempio al magico silenzio dei campielli veneziani o al fascino dello specchio lagunare verso Murano, che certamente aveva avuto modo di scorgere dalle finestre del Foscarini. LINGUAGGIO Il linguaggio, o meglio lo stile panziniano, risulta piuttosto semplice, chiaro e fluido. Tuttavia in alcuni momenti, mi è sembrato inadeguato a coinvolgere pienamente il lettore. Probabilmente questo è determinato dall’uso un po’ troppo insistito per richiami e citazioni dotte, che tradiscono l’amore dell’autore per i classici. Dal confronto con altri testi curati dalle mie compagne, mi sembra di capire che questa sia una caratteristica tipicamente panziniana, e certo allontana un po’ l’autore dal gusto moderno; anche se ho ritrovato, nella sua scrittura, un atteggiamento pacato e lineare. Infine, ho notato una grande attenzione per una rappresentazione molto puntuale della realtà e per una fedele narrazione dei fatti legati alla propria vita o dei documenti ritrovati sulla protagonista. Mi è sembrato di cogliere, nelle pagine del romanzo, un forte sentimento di nostalgia per i tempi passati, un’insoddisfazione nei confronti di un mondo moderno corrotto, gretto e materiale; elementi questi che sono alla base di un forte senso di sfiducia e rassegnazione verso la vita contemporanea. L’impressione è che Panzini, con un atteggiamento piuttosto conservatore, abbia idealizzato i tempi passati attraverso l’esaltazione di una vita semplice e modesta e del rispetto delle tradizioni. Gioia Stefinlongo, III B, a.s. 2012-2013

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