Il romanzo Il sopravvissuto di Antonio Scurati, vincitore del premio Campiello 2005, propone una storia drammatica, un folle, premeditato gesto, una situazione disperata e sconfortante.
Vitaliano Caccia, infatti, ragazzo svogliato e negligente, ma allo stesso tempo intelligente e sensibile, presentandosi agli esami di maturità il 18 Giugno 2001 per la prova orale, giunto davanti alla commissione, estrae una pistola e uccide i suoi professori. Solo uno viene risparmiato: l’insegnante di storia e filosofia, Andrea Marescalchi, che aveva sempre mostrato particolare simpatia nei confronti di Vitaliano.
L’assassino, dopo aver compiuto l’orribile massacro, punta il dito contro Marescalchi, poi fugge.
Ora, “il sopravvissuto” è destinato a rivivere angosciosamente e di continuo la strage di cui è stato testimone, per capire, per trovare almeno una minima spiegazione, per ricercare quali siano le sue colpe e quanto il suo insegnamento abbia potuto influenzare Vitaliano, per spingerlo a quest’estrema e smisurata azione.
E mentre Marescalchi scava nei propri ricordi, all’interno di sé stesso, e si chiede il perché della sua “salvazione”, premeditata quanto l’omicidio dei colleghi, intanto i mass media indagano, diffondono notizie, scatenano l’insaziabile curiosità del pubblico e violano l’intimità del piccolo paese in cui si è svolto il fatto, Casalegno, in cui la gente si avvicina, grazie ad una “rinnovata coesione sociale”.
A spezzare quest’unità ritrovata, oltre ai mass media, sono anche i giovani che, indifferenti alla strage, mantengono il loro ritmo di vita quotidiano: ora sono loro il “nemico interno”, temuto dagli abitanti di Casalegno, che si ritrovano per sfuggire alla loro case, ormai non più sicure, perché “quel ragazzo con la sua pistola era stato per tutti loro una catastrofe naturale”: questa aveva trasformato la popolazione rendendola estranea alla realtà, assente, quasi inconsistente. Implorato da alcuni studenti, Marescalchi si decide infine a partecipare ad un “talk show in cui i soliti esperti e le solite celebrità televisive esprimevano liberamente il proprio parere sul fatto del giorno”. A questo punto si colloca , dietro una pungente ironia che traspare dallo stile minuzioso e, in questo caso, sarcastico dell’autore, una forte critica alla società moderna, alla società del talk show, dove persino il dolore umano, l’avvenimento catastrofico, la distruzione di una vita, lo strazio dell’animo, divengono “macchine da soldi”, strumento per dare spettacolo, non meno (anzi, forse di più) di film, esibizioni o balletti. Dopo un “mare di chiacchiere”, in cui anche chi non è esperto si finge tale, pur di poter esprimere la propria opinione sulla strage, la parola va infine al professore, che però, al solo epiteto di “sopravvissuto” si sente mancare, e non riesce a dire ciò che vorrebbe, ovvero che lui, del massacro, non sia niente, che l’”essere stati vittima di una violenza non conduce a nessuna scoperta […] :è soltanto una calle buia, che non finisce”: ma non dice nulla di tutto questo, farfuglia solo un confuso balbettio.
Alla fine, Marescalchi ritiene di dover riportare alla luce il passato, rileggendo il suo diario personale, e recandosi dalla madre di Vitaliano, per avere informazioni: gli vengono consegnati però, solo gli appunti per la tesina del ragazzo. Essi riguardano i genocidi del XX secolo, a cui Vitaliano non aveva saputo rassegnarsi: più volte aveva chiesto al suo professore preferito un perché, una spiegazione delle stragi, un commento.
E di fronte a queste domande senza risposta, comprende infine Marescalchi, Vitaliano aveva deciso di dare la propria: fare concludere tutto con un massacro.
E,commenta con tragica ironia il professore nelle ultime pagine del romanzo: “in un certo senso, è stato davvero il mio allievo più perspicace”.
Marie Sophie Morguet, I B, a.s. 2011-2012
Nessun commento:
Posta un commento